I sapienti
C’è un brano del Vangelo
dove Gesù benedice il Padre perché ha tenuto nascoste queste certe cose ai
sapienti[1]. Mi ha sempre affascinato
questa frase. Chi sono i sapienti? E chi sono i piccoli? Ho un amico che
considero quasi un fratello che dona al mio burbero carattere la sua
“leggerezza”. Abbiamo alcune cose in comune: l’essere nati poveri senza che
nessuno ce l’abbia fatto pesare, l’amore per la montagna (ma lui la frequenta
veramente) e soprattutto i valori: ciò che conta nella vita. Per il resto: dal
come vestirsi, alla politica, dagli hobbies, al come prendere gli eventi dell’esistenza,
siamo diversi. Lui è ottimista e sdrammatizza ogni cosa, io sono ansioso e
sento i problemi prima che ci siano. Anche il percorso e nostri interessi
culturali sono diversi. Entrambi abbiamo sentito su una schiena ancora acerba
il peso del lavoro manuale. Poi io ho abbracciato i libri e mi sono messo
davanti ad una cattedra (dietro o seduto non mi è mai piaciuto) e lui è
diventato un ottimo artigiano imprenditore di se stesso. Lui nel suo campo è
stimato e possiede una grande conoscenza. Io, calpestando terreni che sono di
caccia riservata (la religione) cerco di balbettare qualcosa, ma so che qualche
“cacciatore” mi guarda con sufficienza. Gli ho regalato il mio libro sulla
paura e lui, nella sincerità vera dell’amicizia mi ha detto: “Dopo dieci righe,
mi addormento”. Non mi sono affatto offeso. È bello far addormentare. È una
delle cose più belle che ho provato con i miei nipoti. Sentire che si
abbandonano al ritmo del respiro della tua pancia.
“Ma quanti libri leggi?”,
mi dice. “Diversi” rispondo, “Soprattutto da quando non guardo più la
televisione”. Mi osserva scuotendo la testa e poi replica: “Io ne leggo uno
all’anno e siccome ho letto il tuo secondo, sono già a pari”.
Questa volta sono sicuro
che lo ha letto, perché mi restituisce, nel dialetto dell’infanzia, i suoi
commenti. Sono commenti sempre centrati, anche se hanno l’intonazione vocale
padana, sono punteggiati da imprecazioni tipiche, mai blasfeme, e accompagnati
da riflessioni e domande che vestono l’abito dell’ironia. Del tipo
(immaginatevi in dialetto): “Eh… con la fame che avevo da bambino, col piffero
che gli avrei dato i pani e i pesci a quei tortelli[2] degli apostoli[3]”. Poi ripensandoci: “Però
i gheva fam anca chialtar…magari gan davi la metà, tant al Signur al
multiplicava lu stes”[4].
[1] “Ti
ringrazio, padre, Signore del cielo e della terra. Ti ringrazio perché hai
nascosto queste cose ai grandi e ai sapienti e le hai fatte conoscere ai
piccoli” Mt 11, 25
[2] Con il
termine dialettale “turtel”, in mantovano si intende persona sciocca e ingenua,
ma non cattiva.
[3] Si fa
riferimento al brano del Vangelo secondo Giovanni dove un ragazzo consegna i
suoi cinque pani e i due pesci per il miracolo della moltiplicazione; Gv 6,
5-10
[4] Però
avevano fame anche gli altri… se mai gliene davo metà, tanto il Signore li
avrebbe moltiplicati ugualmente.
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